Un’onda d’urto fino all’estremità della Terra

Mentre mi trovavo a leggere alcuni vecchi studi biblici, ne ho rispolverato uno che si intitola “Atti degli apostoli: Uomini e Spirito”.

La prima cosa che consiglia di fare è andare a rileggere, nel caso lo si sia già fatto, il libro degli Atti. Non solo per conoscere l’evoluzione della Chiesa del primo secolo, di come da un manipolo di uomini che avevano conosciuto Gesù e che lo avevano visto risorto, divennero centinaia di migliaia di nuovi fedeli sparsi un po’ per tutto il mediterraneo; ma per ritrovare le stesse emozioni che abbiamo vissuto noi, certo in circostanze molto diverse, ma pur simili a quelle vissute dai protagonisti dei vari racconti, ovvero l’incontro con Gesù come forza spirituale.

Noi in qualità di Suoi figli siamo divenuti Suoi testimoni, testimoni di qualcosa che non abbiamo mai visto e in alcuni casi di qualcosa che non abbiamo mai vissuto fisicamente.
Siamo depositari di una eredità che ci viene data tra le mani, non ne comprendiamo il valore e spesso la diluiamo, la rendiamo ai minimi termini, tanto da farla diventare blanda, quasi insignificante, quasi simile ad un farmaco omeopatico.
Conserviamo il ricordo di qualcosa che è stato forte, grande, resistente, ma nel momento cruciale è inefficace, insensibile, inutile.

Per questo credo che ricordare di aver sentito dentro di noi il tocco di Gesù Cristo il Salvatore, possa essere uno dei primi passi da poter compiere per ritornare su quel sentiero fatto di luce e di speranza, lontano dal peccato e dalla morte.

Ripercorrere il viale dei ricordi potrebbe non risultare piacevole: di cose brutte da dimenticare ne abbiamo sia fatte che ricevute. Ma è proprio li che il Signore ci ha parlato, ci ha teso la mano, e noi per la prima volta abbiamo detto “si, eccomi!”

Ci siamo ripromessi, ci siamo ricreduti, ci siamo convertiti.

Abbiamo iniziato una nuova vita, siamo ritornati bambini, come dice Gesù, siamo rinati dal ventre di nostra madre e abbiamo imparato di nuovo a camminare, a leggere e a scrivere.

Leggendo i primi versi del capitolo 1, vediamo che Gesù tornato alla vita, resta con i suoi discepoli per 40 giorni e qui continuerà a dare insegnamenti in merito al regno dei cieli.
Ora gli viene chiesto: “E’ in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?”
Non vi sembra che i discepoli abbiano posto la questione in maniera alquanto superficiale?

Credo che la fretta sia dovuta dalla poca maturità. Immaturità nel non aver compreso il sacrificio appena compiuto da Gesù, il non aver appreso il significato del suo gesto.
Egli era appena, qualche giorno prima, morto sulla croce in un grido straziante di dolore. Si era fatto carico delle sofferenze di ognuno di noi, di ognuno di loro, pagando per i peccati del mondo. Era disceso negli inferi ed era anche risalito a nuova vita. Era ed è li per mostrare la gloria divina, ma intanto i suoi discepoli gli chiedevano “Dai, dacci di più”.

Molto simile questo atteggiamento a ciò che ognuno di noi è abituato a vivere all’interno delle proprie famiglie. In particolare voglio soffermarmi sulle relazioni coniugali e amorose. La gioia del ricevere diventa beatitudine, la beatitudine routine, la routine indifferenza e l’indifferenza pretesa.
Il tutto senza un barlume di gratitudine.

Gesù allora li rimette al loro posto, non spetta a voi…non spetta a noi.

Ci lasciamo però sopraffare dall’ansia, dalle manie di controllo, dal prezzo della benzina a 2.50€/l, dalla guerra in Europa, dalla fine del mondo……ma Gesù ci dice “Ehi…tu, figlio….” Non sta a te, lascia che ci pensi Io, lascia che ci pensi tuo Padre a far andare le cose nel verso giusto, nel verso che Egli ha stabilito.
E tu, se proprio vuoi preoccuparti di qualcosa, preoccupati di non avermi ancora ricevuto nella tua vita!

Non voglio semplificare alcuni argomenti che possono risultare davvero molto sensibili per molti di noi. Purtroppo il messaggio è tanto semplice nella sua chiarezza che porta con se molteplici difficoltà nella sua realizzazione.

Versetto 8: “Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi”.
Questo è uno dei passi su cui dobbiamo incentrare tutta la nostra vita da credenti.

Leggendo i vari capitoli avremo prova e testimonianza della potenza di cui parlava Gesù: il dono di poter parlare in lingue, sia per comunicare con persone straniere, tanto più per poter comunicare in maniera diretta con nostro Padre. Timidi e impauriti, vedremo i discepoli diventare coraggiosi portavoce del Vangelo di Cristo, con guarigioni miracolose, visioni profetiche, conversioni che vanno al di là dell’inimmaginabile. Tutto questo perché in loro vi era la potenza dello Spirito Santo.

Quanti di noi abbiamo provato sulla pelle un senso di beatitudine nell’esserci liberati da un peccato che imprigionava la nostra vita, riottenendo quelle benedizioni che Dio aveva in serbo per noi?
Quella sensazione non ci ha forse rincuorato, saziato?

Ma senza qualcuno pronto a riempire la coppa in maniera costante, ahimè prima o poi, quella coppa si svuota.

Quindi, esaltati dalla recente liberazione, impediamo di nostra volontà che l’azione purificatrice dello Spirito tocchi ogni membra del nostro corpo, non solo nella carne ma anche nella mente.

Ci chiediamo allora del perché quel senso di beatitudine viene nuovamente a mancare nella nostra vita.
Routine, indifferenza, pretesa.

Versetto 8: “ e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”.
Credo che la salvezza, la liberazione dai nostri peccati, abbia degli effetti sulle nostre vite, una sorta di premio, come prova del nostro percorso di santificazione e che il Signore ci metta davanti a dei gradini sempre più alti, uno dopo l’altro, per farci avanzare di livello.

La nostra prima tappa è Gerusalemme, il posto dove siamo nati e cresciuti, dove abbiamo vissuto le esperienze più traumatiche, ma anche la vittoria sulle nostre debolezze.
E quale potrà mai essere la Gerusalemme di ognuno di noi se non la nostra stessa persona?
La prima richiesta da fare a Dio è quella di aiutarci a conformare il nostro carattere, il nostro atteggiamento a immagine di Cristo.
Sarebbe inutile voler cambiare il mondo se non siamo disposti a cambiare noi stessi.

“tutta la Giudea e Samaria”: la nostra casa, i nostri affetti più prossimi. Ripieni di Spirito Santo possiamo portare il giusto esempio alle persone che ci sono vicine.
Diventare testimoni del presente, di ciò che siamo diventati e non di ciò che eravamo, portando non curiosità, ma ammirazione.

L’interesse per qualcosa di nuovo può scemare, ma l’ammirazione per qualcosa di costante ci fa essere diversi, ci fa essere migliori.

Poco più in là c’è la Samaria, il nostro lavoro, le nostre conoscenze, la nostra comunità, diventando una vera e propria onda d’urto che si propaga fino all’estremità della Terra.

Tutto questo a patto che la potenza dello Spirito Santo sia su di noi, e che rimanga con noi in maniera costante.
Per essere testimoni di Dio bisogna conoscere cosa Suo Figlio è per noi, cosa Egli ha fatto per noi. L’annuncio del Vangelo sta nel proclamare la nostra salvezza dal peccato, nel riprenderci ciò che ci era stato rubato.

Se questa consapevolezza non è nella nostra vita, se la presenza dello Spirito non abita in noi, fermiamoci. Prendiamo un bel respiro profondo e chiediamo in preghiera al Padre di ricongiungere il nostro spirito al Suo.

Solo cosi potremo essere dei buoni servitori, solo così potremo fare la giusta differenza.

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